I rifiuti rappresentano ormai un problema globale, sono la diretta conseguenza di un’economia irrazionale, basata sul consumo e sulla crescita illimitata, ignorando che il pianeta su cui viviamo ha una superficie finita e risorse limitate. Con l’avvento della globalizzazione, non è più possibile pensare che gli effetti negativi di questo stile di vita possano essere tenuti lontano da noi, ormai ci riguardano tutti da vicino e ognuno è chiamato in causa per contribuire a risolvere questo grave problema: quello dei rifiuti e quindi dell’inquinamento. In che modo possiamo migliorare la situazione ed invertire la rotta? Cambiando stile di vita. Anzitutto producendo meno rifiuti, ad esempio riducendo gli imballaggi (quando acquistiamo un prodotto scegliamo quello che ne ha meno oppure portiamoci dei contenitori da casa), non utilizzando prodotti usa e getta (bicchieri, piatti, posate, cannucce, ecc.), bevendo acqua e bibite in bottiglie di
vetro, sostituendo le bottigliette di plastica con quelle di alluminio per portare l’acqua sempre con noi.
La plastica, in particolare, rappresenta il materiale di gran lunga più abbondante tra i rifiuti che inquinano sia i mari che i corsi d’acqua. Le plastiche sono diverse ma tutte tossiche e quindi pericolose per la nostra salute e per quella di tutti gli organismi viventi.
E’ risaputo da anni che, negli oceani, si sono formati degli agglomerati di plastica grandi più o meno quanto l’Europa. Non tutti sanno però, che le particelle di plastica invisibili sono le più pericolose: le cosiddette microplastiche entrano a far parte delle catene alimentari degli ecosistemi acquatici e quindi tutti gli esseri viventi marini le accumulano nei loro tessuti, pertanto quando mangiamo pesci, molluschi o crostacei le mangiamo anche noi. Si formano con il disfacimento, nel corso del tempo, di oggetti
come le buste ma anche il polistirolo e le bottiglie, oppure dal lavaggio di capi in fibre sintetiche. In Italia purtroppo le politiche di gestione dei rifiuti a livello nazionale sono state finora inadeguate ad affrontare un problema così complesso, pertanto è fondamentale che tutti i cittadini si impegnino a dare il loro contributo applicando la regola virtuosa delle 3 R: Riduci, Riusa e Ricicla. Per fortuna si moltiplicando
sempre più, su tutto il territorio nazionale, iniziative e attività finalizzate al recupero e riciclaggio dei rifiuti, così come si stanno sperimentando e producendo materiali innovativi a base di sostanze non inquinanti, di origine vegetale, che in alcuni casi hanno già sostituito o sostituiranno presto la plastica. Un futuro migliore è possibile e dipende dalle azioni quotidiane di ogni singolo individuo. “Agisci sempre
come se ogni azione facesse la differenza, perchè la fa.”
La mostra non vuole porre l’accento solo sull’arte del recupero di oggetti quotidiani che ormai sarebbero destinati alla discarica, ma dimostra che attraverso il recupero stesso di oggetti quotidiani o la rielaborazione di intagli di scarto provenienti dalle proprie opere d’arte si possono ottenere altre creazioni che vivono di una nuova luce, riprendendo così una personale dignità e diventando opere d’arte di altissima fattura. L’esposizione ha riguardato circa cinquanta opere, poste in armonica comunicazione tra loro, dando vita ad una galleria di diversi punti di vista, elaborati attraverso una personale sensibilità e che toccano, attraverso un linguaggio scientifico dell’arte, temi vibranti della nostra attualità. Quattro artisti che lavorano con precisione, curano il dettaglio e denunciano attraverso la loro cifra espressiva un massacro ambientale che dovrebbe essere sempre al centro dell’attenzione dei media. Il mondo deve essere salvato e solo denunciando abbiamo la speranza di lasciare un’eredità valevole per le future generazioni, alle quali oltre che insegnare il rispetto verso ciò che le circonda, dobbiamo insegnare a mantenere alta la guardia per tutelare il mondo.
In realtà a voler ben vedere, nell’esperienza della trash art non c’è nulla di nuovo se pensiamo che, nella storia dell’arte, l’esperienza del riciclo risale già al tempo dei Dadaisti e arriva a tante manifestazioni d’arte contemporanea attraverso le deviazioni pop e nouveauréaliste capitanate da Duchamp con il Ready Made, e successivamente da Andy Warhol con la pop art, o attraverso l’Arte Oggettuale di Piero Manzoni. Lo hanno fatto i futuristi, lo ha fatto Picasso. È stata una esperienza in cui
ciascuno si è voluto cimentare. Pablo Picasso e Georges Braque, per primi, utilizzano il collage per distaccarsi da quella che era la tipica modalità della pittura e della scultura. Sulla tela compaiono materiali di varia natura quali carta da parati, a imitazione di marmo o legno, carta da spartiti, carte da gioco, etichette, che vengono uniti tra loro e sulla tela, donandole volume e movimento. Fare arte in questo nuovo modo dunque non significa più solo saper usare le tecniche, ma anche scegliere di usare e conferire importanza e contenuto a materiali poveri, addirittura di scarto, che hanno di per sé stessi un significato. Tutto questo nasce negli stessi anni in cui nasce la psicanalisi: l’oggetto rifiutato assume un valore simbolico sempre più forte. Da non dimenticare anche il riferimento concettuale alla Pop Art rimandatoci dalle opere dell’artista Fabio Ferrone Viola in cui è viva la denuncia sociale incentrata sull’ambiente.
La Trash Art utilizza non tanto il contenuto delle pattumiere quanto gli scarti industriali e interessa trasversalmente molti movimenti artistici, evidenziando che ovunque, anche nel materiale di risulta, si può trovare una forma del bello estetico in grado di contrapporsi alle definizioni culturali ufficiali, e di imporsi grazie alla forza espressiva derivata dall’impatto emotivo che hanno sul normale osservatore,
anche con l’aberrazione e la distorsione, la bruttezza e l’orrore.
L’opera d’arte non è più un progetto ben definito e impostato, realizzato con i materiali aulici della tradizione ma si contamina con il quotidiano. Il Trash trae spunto dalla cultura consumista che attanaglia la nostra quotidianità, che ci porta a sprecare e a buttare, a sostituire continuamente. In questa corrente dunque tutto può essere riutilizzato e riconsegnato nel circolo produttivo e vitale, secondo una concezione del tempo e del consumo, che finisce per non avere un inizio e una fine, ma attua un continuo processo di alimentazione. Come dice Giulio Feroni, docente di Letteratura Italiana all’Università La Sapienza di Roma: “In assenza di valori forti, non rimane che mettere in mostra la volgarità del quotidiano: in questa frase può essere riassunto il “Trash” come fenomeno culturale”. Allargando poi il concetto al pensiero comune che vede il mondo sommerso da una quantità enorme di rifiuti, la Trash art diviene spia di comportamenti sociali inauditi ed irrispettosi nei confronti dell’ambiente, sollevando il problema dell’inquinamento. L’interesse per il “rifiuto” cambia a seconda del contesto in cui un’opera viene creata. Per questo motivo si dà particolare rilievo al pensiero degli artisti stessi, in quanto lo si ritiene essenziale per comprendere meglio le ragioni di tale utilizzo. Gli scarti prodotti dalla vita moderna hanno corpo, peso, memoria, nonostante l’idea diffusa che una volta terminato l’uso, oggetti e alimenti semplicemente cessino di avere volume specifico all’interno dell’ecosistema. In questo caso la corrente artistica diventa e si pone come linguaggio di denuncia di un sistema evolutivo che deve essere cambiato. Niente è assolutamente bello o brutto: dipende solo da come lo si guarda. La cultura Trash è priva di regole, è improvvisazione del momento, in base anche ai prodotti che l’artista recupera, cerca e che va ad installare nelle sue non composizioni; è ricerca del
bello, dell’equilibrio di forme e colori, è inventiva creatività allo stato puro, è ricerca dell’incastro e del proprio intrinseco messaggio che sovente viene “espulso” da un qualsiasi intimo pulsare.
da socialnews.it