Restart a safe space for a music minds. Il supporto psicologico per artisti e addetti ai lavori della musica

di Ilaria De Sio

Restart a safe space for a music minds. Questo il nome del progetto nato con l’intenzione di garantire supporto psicologico a musicisti e addetti ai lavori. Un’intuizione illuminante tanto quanto necessaria in un’epoca in cui chi lavora con la musica non viene ancora riconosciuto come un lavoratore e chiedere supporto psicologico continua ad essere un’azione complessa, perché legata ad una serie di pregiudizi ed etichette sociali. A raccontarci Restart è stata Flavia Guarino, presidente e ideatrice dell’iniziativa.

Com’è nato Restart? E da quale esigenza?

È nato a settembre del 2019, da un’idea che era dentro di me da un po’, volevo creare uno sportello che fosse attivo sul territorio italiano circa la prevenzione dei disturbi psichici degli utenti che gravitano attorno al mondo della musica. Durante un viaggio di lavoro a Brighton, avevo conosciuto i ragazzi di Music Support Uk (sportello di supporto psicologico inglese) che mi hanno illustrato questo loro mondo associazionistico, non ho potuto fare a meno di trovarlo molto interessante, ho pensato quindi di portarne almeno il concetto in Italia. Successivamente ho lanciato una call sul gruppo di Shesaid.so e ho trovato Azzurra Funari che insieme a me si occupa del direttivo e ho poi coinvolto Michela Galluccio, psicologa e neuroscienziata, referente degli psicologi.  Insieme abbiamo così dato il via a questo progetto.

All’inizio ci siamo adoperati per la divulgazione all’ interno dei principali festival italiani, creando poi uno sportello di emergenza online a cui potersi rivolgere per confrontarsi con uno dei nostri venti psicologi specializzati. In questo momento stiamo lavorando a tutta la campagna di tesseramento del 2021 che prevederà molteplici attività su tutto il territorio nazionale, con l’apertura di sportelli fisici su Milano, Roma, Torino e Bologna.

Che risposta avete riscontrato da parte degli utenti?

Abbiamo sicuramente risposto ad una necessità, inizialmente c’è stato un certo prevedibile scetticismo, al tempo stesso però, molti si sono ricreduti, la nostra formula è infatti molto poco convenzionale rispetto a quelle che, soprattutto dal punto di vista divulgativo, adoperano enti simili al nostro, non siamo troppo istituzionali ma cerchiamo di parlare di temi delicati con una certa completezza e con la lingua parlata dall’utente. La risposta è stata quindi positiva e in continua crescita.

Si tende ad avere una visione dell’artista rosea e romantica. Quali sono invece le problematiche più oscure che spesso vive chi lavora in questo mondo?

Le problematiche sono molte, da quelle relative all’ ansia da prestazione, disturbi di depressione, attacchi di panico fino ad arrivare a patologie più silenti che vanno ad intaccare il normale iter dell’essere umano. Questo vale sia per gli artisti che per gli addetti ai lavori. Viviamo in un momento storico in cui il lavoro creativo non viene riconosciuto e tutto questo si manifesta con quella che generalmente viene detta sindrome dell’impostore, la persona non ha la completa percezione di quello che sta facendo, perché appunto la società non glielo riconosce, per questo motivo inizia a pensare di non valere abbastanza, convincendosi di essere un impostore che verrà scoperto, perché il proprio operato non vale nulla.

In Italia secondo te c’è una difficoltà nel parlare di salute mentale e nel fare ricorso a supporti psicologici?

Io penso che il grande problema che c’è in Italia sia relativo allo stigma di cosa significhi davvero avere dei disturbi. La credenza popolare non riconosce al meglio i disagi che vivono queste persone, finendo così per alimentare l’idea che sia un qualcosa che non ci riguarda, molto spesso invece coinvolge anche noi stessi. Quando ho creato Restart, la mia necessità era quella di offrire una narrazione che fosse diversa, era diversa perché io stessa sono una persona che soffre di depressione e sono però al tempo stesso una giovane addetta con una bella carriera, perché lavoro come booking agent per una importante agenzia. Essendoci dunque noi stessi dentro e vivendo questa realtà, cerchiamo di offrire il spstegno che avremmo voluto avere nel nostro percorso per affrontare i nostri problemi. Da qui ai prossimi mesi spero dunque con questo progetto di riuscire ad aiutare quante più persone possibili.

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