L’inizio della scuola in tempo di Covid-19 raccontata dal dirigente scolastico Pier Paolo Eramo della scuola “Parma Centro” di Parma

Pier Paolo Eramo Dirigente degli istituti scolastici «Sanvitale-Fra Salimbene» di Parma. In precedenza, quali incarichi Le sono stati dati?

Sono preside di questo Istituto dal 2012… Prima ho sempre insegnato nei licei italiano e latino, anche se il primo amore è stato latino e greco. Negli ultimi vent’anni, ho anche fatto un’esperienza di cooperazione internazionale in Eritrea e in Mali e sono stato lettore di italiano all’Università di Lione 2.

Quali le differenze dei due istituti che lei dirige

Si tratta di una scuola elementare e una media: dall’anno scorso il Comune di Parma ci ha attribuito un’altra elementare e una scuola dell’Infanzia, sempre nel quartiere Parma Centro. Per questo l’Istituto ha assunto la denominazione omonima.

Quanti studenti  frequentano gli istituti Sanvitale-Fra Salimbene e di che grado scolastico sono

Siamo circa 1250 dall’Infanzia alla secondaria di primo grado passando per la primaria

Vorremmo fare con lei un mini tour scolastico, entrando proprio nelle sue scuole

Cosa c’è nella scuola di ieri e in quella di oggi

La scuola di oggi è più complessa, articolata, sfidante e, nello stesso tempo, ‘minacciata’ da ogni parte. Complessa, perché le classi di oggi sono molto più diversificate: un insegnante si trova davanti individualità e storie diversissime dal punto di vista linguistico-culturale, sociale, psicologico. E’, anche, molto aumentata l’incidenza del malessere tra i bambini, che riflettono i conflitti delle nostre società dure e individualiste, governate dalle leggi spietate del mercato. Ogni alunno avrebbe bisogno di essere tutorato individualmente, l’insegnante dovrebbe essere come un allenatore che insegna, motiva, consola, orienta, ecc. Mission Impossible in una classe di 25 alunni. Nello stesso tempo, la scuola ha perso di centralità. Mai come ora i media, la pubblicità e il mondo degli adulti hanno fatto irruzione nella vita dei bambini; spesso, senza alcuna mediazione.

La scuola fa molta fatica a dare in tempo strumenti adatti a decodificare la massa enorme di messaggi che, prima di tutto, attraverso la rete, bombardano i nostri figli. E’ una marea inarrestabile, rapida, pervasiva. Invece, l’educazione ha bisogno di tempo, di stare sulle cose.

Ci sono secondo lei e la sua esperienza delle similitudini tra gli studenti di ieri e di oggi? Quali?

Ci sono cose che non sono cambiate: la scuola rappresenta il primo distacco dalla famiglia, l’ingresso in società, soprattutto nel mondo dei pari, che finiranno per sostituire il giudizio di mamma e papà (spesso con tante angosce). Test e interrogazioni, voti ed esami, vacanze estive, innamoramenti. La scuola come luogo di socializzazione, prima ancora che di apprendimento di singole materie. Tutto questo vale per loro come era per noi. Una volta, noi avevamo poco altro: scuola, casa, bicicletta, amici e un po’ di televisione. Ora invece…

Quali sono le maggiori difficoltà che deve affrontare ogni giorno per assicurare il benessere degli studenti, docenti e personale in generale

Il lavoro del preside è molto difficile da descrivere; io, forse, devo ancora capirlo bene. Stai in mezzo a tutti i processi, ma devi stare attento a non farti risucchiare. Devi soprattutto garantire un ambiente favorevole allo sviluppo delle potenzialità di tutti, stando attento a rispettare i ruoli e a farli rispettare. Devi garantire equità, regole, efficienza e, ogni tanto – ma senza esagerare – far emergere una direzione. La macchina non deve girare in tondo, tutti devono sapere dove stanno andando e quale contributo ognuno può dare all’impresa collettiva che è la scuola. Per me, il dirigente migliore è quello che ‘sparisce’ dietro a tutti gli altri.

Quali sono le richieste o lamentele che i genitori fanno maggiormente alla scuola?

I genitori vogliono tutto: la scuola migliore, i docenti migliori, i figli più performanti e bravi. Il nostro compito è quello di fare la miglior torta possibile con gli ingredienti (umani, economici, strutturali) che abbiamo. Si sa che il mondo perfetto non esiste sulla terra – lo diceva Socrate nella Repubblica – ma a quello dobbiamo comunque tendere. Bisogna, però, fare attenzione a non pretendere che i nostri figli/alunni diventino quello che non sono: serve da parte di tutti una profonda accettazione della realtà, che può essere molto diversa da quella che ci eravamo immaginati. I bambini e i ragazzi sbagliano, magari sono delle frane in matematica, fanno i bulli, oppure sono molto timidi. Succede che i genitori non accettino lo sguardo degli esterni sui loro figli, che non accettino un brutto voto, una nota, un rimprovero; così come succede anche a noi di non capirli fino in fondo, nonostante tutta la nostra esperienza educativa. Si tratta di avere un po’ di umiltà, molto rispetto e trovare la strada giusta per farli crescere in maniera armoniosa.

Dopo l’annessione, a settembre dello scorso anno, dell’istituto Adorni (scuola da sempre etnica e alternativa), oggi denominato Istituto scolastico Parma Centro, Lei ha dichiarato, in un’intervista, che non devono esistere pregiudizi e stereotipi, e che ad una scuola “bene” preferisce una scuola “buona”. Ci spieghi meglio!

Parma non sfugge alle logiche un po’ provinciali che dividono il mondo in terroni e nordici, cittadini e campagnoli o montanari, bianchi e neri e, soprattutto, ricchi e poveri, fino a veder, nel centro storico, una parte “buona” e una “degradata”, perché, di fatto, più soggetta alla continua trasformazione sociale.

La mia scuola è sempre stata dalla parte ‘buona’, della borghesia medio-alta dei professionisti, degli imprenditori, del terzo settore avanzato, il che portava con sé l’idea che si potesse influenzare la formazione delle classi, la scelta dei prof, che in classe ci fossero soprattutto persone del tuo livello sociale ed economico… Niente di grave, se non fosse che, talvolta, questo poteva determinare delle ingiustizie o un senso di esclusione in chi non apparteneva al giro giusto. Per me, l’unica scuola bene che esiste è quella in cui vivono alunni felici di imparare e sviluppare la loro personalità, dove generosità, altruismo e gentilezza non sono ‘da sfigati’ ma da cittadini maturi; dove conta il viaggio che facciano insieme più che la provenienza di ognuno.

Siamo quasi alla fine del nostro mini tour. Lei crede sia possibile una vera scuola ideale che possa andare bene per tutti, docenti, studenti, e genitori?

Ognuno ha la sua scuola ideale. La mia, è una scuola veramente autonoma, capace di realizzare il dettato costituzionale e di rispondere ai bisogni specifici del territorio, secondo i due principi di libertà di azione e di obbligo del risultato. Questa scuola dovrebbe prevedere, a livello didattico, la possibilità di un’offerta formativa differenziata, adeguata alla personalità e alle attitudini degli alunni; centralità dei progetti; tutoraggio obbligatorio degli alunni; introduzione di classi ponte per l’accoglienza di alunni neoarrivati e di classi di livello temporaneo per recupero e potenziamento nelle materie core; centralità dell’educazione emozionale, etica e relazionale. A livello organizzativo, vorrei carriera del personale e introduzione del middle management; valutazione del personale, temporaneo e di ruolo; possibilità di riorientamento, licenziamento e chiamata diretta (almeno dei supplenti); formazione obbligatoria; adeguamento dello stipendio alla media OCSE con aumento delle ore di servizio a scuola. Troppo?

Gli investimenti economici che fa lo Stato per la scuola possono essere risolutivi, in alcuni casi?

Possono essere molto importanti ma, come ho spiegato sopra, non basta: serve un quadro normativo che rilanci le energie delle singole scuole e dei singoli territori. La Scuola unica non esiste.

L’anno 2020 inizia nel peggiore dei modi. Una terribile pandemia (Covid 19), dal  mese di febbraio, stravolge il mondo intero. Quale è stato il suo primo pensiero verso la scuola?

Come quando il torrente trova un pietrone nel suo letto. Per dove passiamo ora?

Dall’8 marzo, viene imposto, su tutto il territorio nazionale, il lockdown. La scuola passa in modalità digitale, quindi didattica a distanza. Ci spiega quali sono state, secondo Lei, le maggiori difficoltà per la scuola e per studenti e genitori

La scuola ha fatto un enorme passo in avanti in pochissimo tempo, una rivoluzione! Abbiamo fatto una cosa che non sapevamo neanche di poter realizzare: abbiamo continuato il progetto educativo senza corridoi, aule, campanelle, routine, voti. Ce l’abbiamo fatta grazie allo sforzo delle famiglie, al lavoro dei rappresentanti dei genitori, allo slancio dei docenti che hanno mostrato una resilienza incredibile. Tutto è stato difficile: i devices  che non c’erano, le competenze da acquisire per alunni e docenti, la connettività assente, per non parlare della solitudine, della malattia, dei morti. Una fatica bestiale per tutti, tempi di lavoro illimitati, tutti fermi incollati al pc, a whatsapp, al registro elettronico. Ma abbiamo retto!

Durante il lockdown fino ad arrivare ad oggi si è parlato di come si deve rientrare a scuola, discutendo di sicurezza, sulla data di inizio, nuovi spazi, personale addestrato, distanziamento tra i bambini e tanto altro; come adeguare gli istituti vecchi che non potranno adottare tutto quanto è stato previsto. Alcune scuole sono state obbligate a noleggiare tensostrutture esterne per mancanza di spazi. I suoi istituti come sono organizzati?

Con l’aiuto del Comune di Parma abbiamo allargato 7 aule, abbattendo pareti e ricostruendole in cartongesso. Abbiamo studiato la ricollocazione di tutte le classi a seconda della numerosità e dello spazio. Riusciremo a tenere unite tutte le classi dell’infanzia e delle elementari, mentre alle medie nessuna aula può accogliere tutti gli studenti e non possiamo intervenire sulle strutture. Dovremo probabilmente ricorrere alla cosiddetta miniDAD: un gruppo di alunni per classe seguirà le lezioni da casa un giorno la settimana. Per il resto, abbiamo preparato regole, procedure, linee guida. Ora ci sarà la prova della realtà!

In tutti questi mesi quale è stato il rapporto tra la scuola, i genitori e gli studenti

Mai così buono. Una grandissima collaborazione, come dovrebbe essere sempre.

Il personale docente e tecnico  sono preoccupati, secondo lei?

Siamo tutti preoccupati, ma io mi muovo su tre principi: il primo è accettare che il rischio zero non esiste (nemmeno nella vita normale) e fare tutto il possibile; il secondo è che l’ansia e la paura peggiorano la situazione: molto meglio affrontare le difficoltà con mente tranquilla; il terzo è che non siamo onnipotenti e quindi, se necessario, accetteremo di limitare il servizio, di chiuderlo, ecc. Non abbiamo altra scelta che andare avanti. L’unica cosa che rimprovero al Governo, se così si può dire, è di non aver pensato a un periodo di rodaggio, con un tempo scuola limitato e gruppi più piccoli, per vedere come andava. Partire subito as usual  in queste condizioni, per me è un azzardo giocato sulla nostra pelle, non un atto di coraggio.

L’imminente scadenza del 14 settembre, La preoccupa?

Sono preoccupato che il sistema sanitario (sierologico, tamponi, tracciamento, decisioni su chiusure ecc) non regga i ritmi necessari per poter agire tempestivamente. Sono preoccupato che le persone si facciano prendere dal panico. Spero di sbagliarmi.

Sempre in questi mesi, si è parlato tanto della didattica a distanza; c’è chi ha detto che potrebbe continuare e chi è totalmente contrario. Lei cosa ne pensa?

Che è uno strumento importante, che abbiamo fatto una esperienza che mai avremmo fatto, che ne abbiamo misurato pregi e difetti e che ora sappiamo in anticipo come comportarci. Alcune famiglie e alcuni alunni sono stati molto meglio in DAD che a scuola: anche questo ci deve fare pensare. E’chiaro che la DAD ha anche approfondito il solco tra ricchi e poveri, tra chi è ‘dentro’ e chi è ‘fuori’. La società in generale ha riscoperto il valore della scuola, troppo spesso data per scontata.

Come vede il futuro della scuola in generale, e non solo per il Covid-19

La scuola del futuro sarà molto più pervasiva e supererà gli usi tradizionali del tempo e dello spazio. Dovremmo riuscire sempre di più a cucire la scuola sui ragazzi, a renderli protagonisti del loro apprendimento, a individualizzare l’offerta. Per questo ci vuole, però, libertà di azione e fondi, non burocrazia.

Siamo alla fine di questo incontro. Ha un sogno nel cassetto per la scuola?

Che torni a popolarsi di storie e di avventure quotidiane, di abbracci, corse ed emozioni, e che non tornino più i corridoi deserti e silenziosi.

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