Raccontare la violenza di genere, lanciare un segnale concreto, scegliere di amarsi ogni giorno, la propria libertà attraverso un patto con sé stessi. Si potrebbe provare a spiegare così “Le vite che non ho scelto”, nuovo capolavoro di Milena Cicatiello, una seconda pubblicazione di poesie dopo l’esordio con “Petali d’incoscienza”. L’opera, edita da Stefano Piavani editori, è incentrata sul tema della violenza di genere. Non è un viaggio onirico nell’Io profondo, bensì il racconto del cammino tortuoso, cosciente e terreno, di riabilitazione di una giovane donna, vittima, sin dall’infanzia, di violenza, e della ricerca disperata della sua identità. La raccolta è stata presentata venerdì scorso presso la Sala Erica della Biblioteca comunale di Capaccio Paestum, in presenza del sindaco Franco Alfieri.
Milena, “Le vite che non ho scelto” il tuo ultimo capolavoro che tratta temi delicati quali la violenza di genere…
“Il tema è la violenza di genere, chi mi segue da diversi anni sa che la mia scrittura, da sempre, mira ad unire il valore estetico dell’arte a quello etico. In particolare, la mia seconda pubblicazione va nello specifico e, a differenza del libro libro in cui lo sguardo era rivolto a diverse categorie, questo va a sensibilizzare, a smuovere le coscienze sia dei carnefici che delle vittime di violenza. È una tematica che mi sta particolarmente a cuore, sia perché ho accumulato diverse esperienze nel mondo del volontariato e mi sono imbattuta in tante situazioni di violenza di genere, quindi è come se le avessi vissute sulla mia sia e questo mi ha portato a sentire la responsabilità di tradurre in arte, sia perché è un fenomeno che resta uguale, tende a peggiorare nel tempo e c’è questa gravità, stiamo andando verso il declino. Ogni giorno sentiamo parlare di tragedie, credo che si possa intervenire in due modi: l’approccio normativo serio, non facendo leggi sul femminicidio ma a partire da percorsi normativi nelle scuole per prevenire la violenza e insegnare l’educazione ai ragazzi; l’altro piano è la cultura. L’arte deve avere un fine sociale, riuscire a cambiare il modo di pensare delle persone, smuovere le coscienze perché solo così è destinata a durare nel tempo. In questo libro, si possono identificare tutti non solo chi ha subìto violenza di genere perché tratto temi di una storia particolare, chiunque può trovarsi imprigionato in una vita non sua a causa di standard qualitativi imposti dalla società e questo crea un’alienazione. La poetica cerca di ripristinare la centralità dell’essere umano, di aspettative e di speranze, un umanesimo contemporaneo”.
C’è un fil rouge che lega tutte le poesie, un’unica storia o filo conduttore…
“L’innovazione non è solo nel linguaggio che adopero ma anche nella struttura narrativa; sembra un racconto perché le poesie seguono un ordine logico e cronologico come una storia perché tutto parte da un percorso di riabilitazione di questa donna che deve arrivare a ricostruirsi dopo aver scoperto la violenza familiare da parte della figura paterna. L’ultima poesia non solo chiude il libro ma anche il percorso di riabilitazione: la donna diventa adulta e con la maturità acquisisce la consapevolezza di non poter avere una persona che le fa da padre, spetta a lei e questo consente di avere una propria identità, ripulita dalla violenza e dalle sue scorie. Essere liberi ha sempre la contropartita del deludere qualcuno, una responsabilità e dire che non si è più figli di qualcuno significa non avere una protezione ma è l’unica strada per potersi autodeterminare, scegliere la vita che si desidera e farlo ogni giorno, come una sorta di patto con sé stessa. Il mondo non cambia, nulla di nuovo sotto il sole, parte da me è la parte finale di questa poesia perché il passato non si può cambiare, la violenza si supera accettando anche il male ricevuto e in quest’accettazione c’è la più grande forma di bene che fa a sé stessa”.