“Le vite che non ho scelto” è un’opera incentrata sul tema della violenza di genere. Non è un viaggio onirico nell’Io profondo, bensì il racconto del cammino tortuoso, cosciente e terreno, di riabilitazione di una giovane donna, vittima, sin dall’infanzia, di violenza, e della ricerca disperata della sua identità.
Nell’urlo che le sale da dentro e si disperde senza fiato, la sua anima straziata reclama l’amore mancato, come un diritto negatole cui ha tentato, invano, di sopperire rifugiandosi nelle dipendenze, nelle presenze brevi, negli sparuti attimi di bellezza che ha rubato alle vite degli altri.
Tra la dimensione presente e la dimensione passata, che si alternano e si sovrappongono nelle prime pagine dell’opera, passano le vite che non ha scelto, che non è solo la vita scandita dalla violenza, ma anche le “vite-conseguenza” , ovvero l’amore che ha negato a se stessa e agli altri e l’amore che ha dovuto elemosinare per sopravvivere alla cieca spietatezza delle convenzioni sociali.
Il pensiero incessante di essere fatta a immagine e somiglianza della violenza che l’ha colpita la conduce al limite della pazzia, al punto tale da preferire, a una vita senza amore, una dignitosa “morte in vita”. Il suo unico interlocutore sembra essere un ragazzo autistico, in cui riconosce la propria condizione di disagio esistenziale, di profonda alienazione, di angosciante solitudine.
La rassegnazione alla inesorabilità del male e alla ineluttabilità del proprio destino si snoda nell’immagine evocativa dell’eclissi dell’anima, in cui ella si nasconde per sfuggire al suo stesso sguardo. E invece il buio dei ricordi le restituisce, nitido e incontrovertibile, il lato oscuro di un mondo sporco che ha scoperto troppo presto, quello che gli occhi di una bambina non potranno mai dimenticare e quelli di un’adulta mai ricordare. Il peso che porta sulle spalle diventa inevitabilmente senso di colpa, che da vittima la trasforma in carnefice dei suoi stessi patimenti.
Riuscirà a liberarsene quando acquisirà la consapevolezza di essere non orfana, ma Madre universale. Da lì comincerà la vita che ha scelto, fatta di sogni e aspettative che riemergono dal fondale, di infinite possibilità di vita e di trepidante attesa di partorire la creatura figlia del suo vero amore: se stessa. Nel verso, che a poco a poco si fa muto per redimerla dalla colpa primordiale dell’essere venuta al mondo, nella dimenticanza di sé e nella scoperta che la sua essenza è in superficie alle cose che la circondano, le quali chiedono di essere vissute e non razionalizzate, ed è nella vita che si ama tutta, dolce o amara, violenta o delicata, la giovane donna assiste, sotto un Sole immobile, in un giorno ordinario, al miracolo della nascita della sua irreplicabile identità.
Biografia
Milena Cicatiello vive a Capaccio Paestum.
Si è laureata in giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli e ha conseguito il
titolo di Avvocato.
Svolge prevalentemente la professione di giornalista in ambito culturale e sociale e coltiva,
sin da bambina, la passione della poesia. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti nei
concorsi letterari nazionali e internazionali. Dal 2020 è stata inserita nell’Enciclopedia
Poetica Wikipoesia. Nel 2021 ha fondato la rassegna letteraria “Maledetti poeti”, allo
scopo di promuovere il valore sociale e civile delle arti, con particolare riguardo ai diritti
umani. Nello stesso anno, a seguito del riconoscimento di “Poetessa della solidarietà
linguaggio dei popoli” da parte del Centro UNESCO di Trieste, ha ricevuto la targa al
merito “La cultura rifiorisce” dall’amministrazione comunale di Capaccio Paestum.