di Sandro Capatti
La Cantina Ceci, fondata nel 1938 dal bisnonno Otello nel piccolo paese di Torrile in provincia di Parma, azienda rimasta sempre presente sul territorio aiutando e sostenendo il proprio paese, la propria comunità è votata fin da subito alla solidarietà in diversi campi. “L’aiuto per noi – dice Elisa Maghenzani, titolare insieme alla famiglia – non verrà mai a mancare, sostenere progetti alle fasce deboli o che possano dare una qualità di vita migliore, sarà per la nostra azienda un obiettivo sempre fermo e deciso”.
Elisa Maghenzani, lei è la titolare dell’azienda Cantine Ceci insieme alla sua famiglia, quando nasce e come si sviluppa il vostro lavoro?
La nostra cantina nasce nel 1938 da Otello Ceci, mio bisnonno, che in paese aveva una tipica osteria e quindi produceva il vino per i suoi commensali. La passione è passata attraverso i suoi figli Bruno e Giovanni, che ne hanno fatto la loro attività principale, fino a noi che attualmente la conduciamo, coniugando tradizione e innovazione.
Quanti dipendenti ha la vostra azienda?
Oltre a noi 5 membri della famiglia, che seguiamo personalmente i vari settori dell’azienda, ci sono 8 impiegati negli uffici, 8 operai in cantine e un autista. Un bel gruppo affiatato.
La vostra azienda viene fondata dal nonno Otello nel 1938, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, a Torrile un piccolo paese della provincia di Parma, quali erano le caratteristiche dell’epoca?
Il nonno pigiava l’uva che i contadini della zona gli conferivano, all’epoca tutte le aziende agricole avevano qualche filare d’uva. La vendemmia e la pigiatura erano giornate di festa dove veniva coinvolta tutta la famiglia e il vicinato. Il profumo del mosto, i carri che passavano sotto le nostre finestre, il sugo e il vino cotto sono ricordi ancora vivi in tutti noi.
Per un’azienda come la vostra secondo lei rimanere sul territorio è stato fondamentale e perché?
Credo che sia normale per un’azienda a carattere familiare restare ancorata al proprio territorio. Lo credo perché la nostra vita si è sviluppata in questo contesto sociale e in parte noi e le nostre famiglie ancora risiediamo qui. Quindi è un legame personale e viscerale forte con il nostro paese. Qui risiedono anche molti dei nostri dipendenti che sono stati nostri compagni di scuola, nostri amici, amici o congiunti dei nostri cari. Questa è una grande forza e ci ha consentito di fare progetti e conseguire obiettivi che in un altro contesto non sarebbero stati possibili.
Che tipologie di vino avete?
Produciamo soprattutto lambrusco che è lo stesso vino rosso intenso e frizzante che il nonno Otello e poi i suoi figli producevano. Il vero prodotto della nostra tradizione è il lambrusco Maestri, abbiamo infatti intitolato a lui il nostro lambrusco di punta: Otello. Ci siamo specializzati negli anni anche nelle bollicine bianche quali: malvasia tipica delle nostre colline o altri spumanti bianchi e rosati.
Siete presenti anche all’estero?
Sì, distribuiamo il nostro lambrusco in moltissimi paesi del mondo. Il lambrusco è un vino immediato e leggero che si beve fresco e sta bene con tanti piatti della cucina internazionale. Queste caratteristiche facilitano l’avvicinamento al vino anche a popoli con tradizioni diverse dalle nostre e allo stesso tempo la nostra cura dell’immagine delle bottiglie incuriosendo facilita la vendita.
Lasciamo per un attimo l’attività dell’azienda, è noto a tutti che la vostra azienda è da sempre attiva nel sociale, verso chi ha bisogno, sostiene iniziative e altro. Ci racconta quando avete iniziato e perché?
Questa vocazione verso l’attività sociale ci è innata. Come dicevo in precedenza la vita della nostra famiglia si è sviluppata su questo territorio e quindi ci siamo sempre sentiti coinvolti e in dovere di aiutare le associazioni culturali, sociali e sportive del nostro territorio. Mi raccontano che il nonno Otello accogliesse gli sfollati in tempo di guerra.
Quando decidete di occuparvi di un progetto sociale quali sono gli accorgimenti che usate?
Le sensibilità sono diverse, essendo in 5 titolari ognuno di noi ha la propria. Cerchiamo quindi sempre di sostenere molte attività, dando una mano a tutti. Prediligiamo le attività sul nostro territorio, sostenendo con piccoli o più grandi contributi.
Ci sono dei progetti sociali che hanno la priorità rispetto ad altri oppure non c’è nessuna differenza per voi?
Valutiamo di volta in volta e negli anni abbiamo cercato di differenziare in cicli, proprio per poter dare sostegno a tutti. E’ ormai risaputo il nostro impegno e quindi spesso ci vengono proposti progetti molto interessanti. Abbiamo aiutato negli ultimi vent’anni con forza lo sport, in particolare nei settori giovanili e in sport “minori”, la cultura in tante declinazioni. L’attività più importante è stata quella legata al teatro Regio di Parma. Per ultimo abbiamo sostenuto l’Ospedale di Parma per l’emergenza coronavirus.
Valutate voi quale iniziativa sostenere, oppure all’interno dell’azienda c’è un team di esperti che valuta?
Come ho già detto, è un’esigenza che ci viene dal cuore e che quindi seguiamo noi direttamente.
Per alcuni anni avete sostenuto le attività culturali del Teatro Regio di Parma, quindi un tipo di cultura internazionale, secondo lei esiste un connubio perfetto tra cultura e imprenditoria?
Credo sia un vanto potersi permettere di investire in cultura, anche a volte con piccoli interventi a carattere locale. Anche il vino è cultura, non possiamo quindi esimerci.
Elisa, sappiamo che lei è molto impegnata nel sociale con diversi progetti, ci spiega quali sono e perché?
Sì, in particolare per me essere socialmente attiva è molto importante. Da tre anni faccio parte dell’associazione Donne del vino, condivido tutti i progetti, in particolare ne seguo personalmente uno sulla violenza di genere.
Nell’agosto del 2018 la vostra comunità è stata colpita da un evento di cronaca nera, la sua associazione si occupa di sostenere progetti legati alla violenza di genere e di violenza sulle donne, in quel caso avete promosso qualche progetto?
Il mio progetto nasce proprio da questo tristissimo accadimento. Inoltre nello stesso periodo una nostra socia, una Sommelier molto attiva, Donatella Briosi, ha perso la vita a causa dell’ex marito. Le DDV ci hanno sollecitato a reagire in positivo a questo lutto investendo le nostre energie in azioni a favore della lotta contro la violenza. In memoria di Filomena e Donatella, con l’aiuto di due insegnanti della scuola secondaria di primo grado, abbiamo sviluppato e finanziato un progetto di “Educazione ai sentimenti” per i ragazzi delle classi terze, che sono coloro che scoprono i primi amori e l’interessamento verso l’altro. Una fase sensibile e delicata della loro vita in una società radicalmente cambiata sotto questo aspetto negli ultimi anni.
La sua associazione ha come obiettivo di promuovere, attraverso la cultura, la conoscenza e la formazione il ruolo della donna nel settore vitivinicolo, ci spiega come?
La figura femminile nel nostro settore fa fatica ad affermarsi. Enologi, cantinieri, export manager, dirigenti in genere, sono da sempre per la stragrande maggioranza figure maschili. Anche il vino culturalmente è stata una peculiarità maschile. La forza che dobbiamo impiegare noi donne per affermarci è gigantesca. L’associazione ci permette di confrontarci, condividere, accrescere le nostre conoscenze tra produttrici, sommelier, giornaliste, ristoratrici. L’associazione è un pozzo di energia, dalla quale ciascuna di noi può attingere e riversare forza.
L’associazione donne del vino è presente sul territorio nazionale, lei è la referente per l’Emilia Romagna, richiede molto impegno?
Non sono io la referente, lei si chiama Antonietta Mazzeo, è una grande donna, molto energica e brillante, che stimo. All’interno dell’associazione portiamo avanti 5 progetti e io sono la responsabile del progetto “EDUCAZIONE ai SENTIMENTI”.
Cosa significa per lei e per la sua azienda occuparsi di progetti sociali?
Significa restituire al mondo un po’ della fortuna che ho avuto nella vita.
La sua associazione si occupa di progetti anche per la scuola e quali?
Il progetto “EDUCAZIONE ai SENTIMENTI “ si sviluppa in tre fasi, nella prima si legge con i ragazzi il libro “Mia” di Antonio Ferrara, che parla della violenza di genere tramite il suo giovane protagonista, Cesare, femminicida di 15 anni. E’ il ragazzo che scrive della sua esperienza, dal proprio punto di vista e di come ha scambiato l’amore per possesso. Nella seconda parte, con l’aiuto delle insegnanti e di un esperto, che può essere per esempio uno psicologo, avviene l’elaborazione del testo e il gruppo di ragazzi inizia a farsi delle domande ed eventualmente a parlare delle proprie esperienze. Infine c’è la restituzione, che in passato abbiamo pensato come laboratorio teatrale, dove con l’aiuto di un esperto, per esempio un regista, i ragazzi sono chiamati ad esprimersi e restituire agli altri compagni di scuola, alle famiglie e al pubblico in sala, la loro opinione ed esperienza. Per le insegnanti ed i ragazzi è stato un percorso molto accrescitivo che ha aiutato in particolare i soggetti più deboli, per me è stata una fortissima emozione e soddisfazione.
Come associazione siete impegnate nel progetto “Il cuore non si ferma”, ci spiega di cosa si tratta?
Il cuore non si ferma è un progetto a sostegno dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna dove sono impegnati tanti medici e operatori sanitari nella lotta contro il Covid-19. Ci siamo impegnate personalmente con una donazione ed abbiamo invitato con un video, dove ognuna di noi ha messo la faccia, chi ci segue a donare per questa causa.
A settembre dovevate partecipare con l’associazione ad un progetto sociale rivolto alla violenza sulle donne, ma come sappiamo è stato rimandato, quale era il vostro sostegno, ci può anticipare qualche dettaglio?
Purtroppo, vista l’emergenza, il concerto a campo volo “Una nessuna, centomila” molto probabilmente non si farà. Abbiamo quindi ideato un’attività alternativa per recuperare fondi a favore della lotta contro la violenza alle donne. Vogliamo patrocinare la campagna #NONSEISOLA per aiutare ed incoraggiare le donne oggetto di violenza. In questo momento particolare, chiuse in casa, queste donne sono ancora più in pericolo. Il nostro progetto prevede la vendita di t-shirt con il logo scarpa rossa e pensiamo di raccogliere fondi a questo scopo .
Concludiamo tornando alla sua azienda. In questo periodo di stop forzato con la sua azienda avete deciso di dare un supporto economico all’ospedale maggiore di Parma, ci spiega a che cosa servirà la vostra importante donazione economica?
Abbiamo sentito direttamente l’ospedale e come da loro consiglio abbiamo semplicemente donato. Ci è sembrato il modo migliore quello di mettere in mano a loro le risorse per far si che potessero decidere, in base alle necessità impellenti, come meglio impegnarle.
C’è un progetto sociale “sogno nel cassetto” per la vostra azienda e per la sua associazione che vorrebbe realizzare?
Con la mia azienda sarebbe bello poter sostenere un progetto sul bere consapevole, in particolare per i giovani. La cultura del vino, il saper apprezzare e degustare un buon bicchiere, oltre una conoscenza scientifica degli effetti dell’alcool, possono portarci sulla strada giusta. Con le DDV vorrei esportare il mio progetto di “EDUCAZIONE ai SENTIMENTI” alle scuole di tutta Italia.
Quale messaggio di speranza vorrebbe mandare alle aziende come la sua che sono presenti al sud e che vivono questo difficile momento?
La mia è cantina al femminile, conducono l’azienda con me mia cugina, mia sorella e mia madre, oltre all’unico uomo, mio cugino. In un momento così difficile la forza e la sensibilità insita in noi donne è un valore enorme, ci sarà una rinascita e noi ne saremo protagoniste, da nord a sud.