Il riutilizzo dei beni confiscati alle criminalità organizzata è il risultato della legge 109 del 1996. Una legge che trae il proprio fondamento dagli insegnamenti di Pio La Torre, parlamentare siciliano ucciso dalla mafia nel 1982. La legge fu approvata sul finire della legislatura guidata dall’allora Presidente del Consiglio Lamberto Dini, dopo una raccolta firme promossa, fra gli altri, dall’associazione contro le mafie, Libera. Oltre un milione di firme diedero all’iniziativa popolare la forza necessaria all’approvazione.
I beni confiscati si dividono in tre tipologie: mobili, immobili e aziendali. I più importanti sono, per ovvie ragioni, gli ultimi due. Ville, terreni e aziende, frutto delle attività illecite, hanno spesso un valore simbolico maggiore di quello economico. È il caso del Caffè 21 marzo e di Art house.
Grazie alla legge 109, tali beni possono essere concessi a titolo gratuito dai Comuni dove essi insistono ad associazioni di volontariato, cooperative per il loro riutilizzo a fini sociali. Una legge, dunque, che consente un duplice vantaggio: da una parte la risposta concreta alle barbarie delle criminalità organizzata e, dall’altra, la possibilità di erogare servizi sociali anche laddove non esiste tale possibilità.
I beni confiscati su tutto il territorio italiano, al 31 dicembre 2006, sono 7.328. Di questi, il 52% è ancora da destinare. Il record negativo di beni confiscati spetta alla regione Sicilia, che detiene da sola il 45% di tutti i beni confiscati. La Campania viene subito dopo, con il 16% dei beni confiscati. Quindi, la Calabria con il 15% del totale. Curiosamente, la prima regione del nord, la Lombardia, è subito queste con il 7% del totale.