Bil e Lama, libanesi a Parma: un racconto di emozioni e sofferenza

Beirut, Libano. 4 agosto.

Sono circa le 18.00 quando, nei pressi del porto, avviene una fortissima esplosione che distrugge, oltre l’area circostante, parte della città. Le prime notizie riportano una stima di oltre 200 persone morte e circa 7000 feriti, cifre che, purtroppo, saliranno tragicamente nelle ore successive. Le prime immagini che le tv e i media locali diffondono sono agghiaccianti, diffuse anche da persone comuni che postano sui social foto e video che diventano virali e fanno il giro del mondo in una manciata di minuti.

Parma. In via Emila ovest, direzione Piacenza, troviamo la Piadineria di Bilal Ismail, dove si possono gustare, oltre la piadina, ottimi piatti tipici del Libano.

Bilal (Bil per gli amici) e la moglie Lama sono di origine libanese. Li incontriamo nel loro locale intorno alle 18, quando inizia la produzione e preparazione per la vendita al dettaglio e da asporto delle loro specialità alimentari. La motivazione della nostra visita è capire quale è stato l’impatto emozionale per quello che è successo nel loro paese e come stanno vivendo questi giorni drammatici.

Lama è in Italia soltanto da tre anni. Bil, invece, è arrivato da noi nel 2002, per motivi di studio (voleva diventare ingegnere in telecomunicazioni e informatica), ma anche per seguire il fratello che, dall’anno precedente, aveva iniziato la carriera di calciatore professionista, militando nel Parma Calcio.

Bil, invece, ha la passione del basket, passione che, inizialmente, lo stava portando in America per coltivare, anche lui, il sogno di diventare  professionista. Decide, invece, di seguire il fratello, anche perché l’Italia è un Paese che gli piace.  A Parma gioca in varie squadre della provincia con grande entusiasmo e divertimento ma, come spesso accade, ha dovuto abbandonare il sogno del professionismo e intraprendere strade diverse perché, con la formazione di una famiglia, le priorità sono diventate il lavoro e la sicurezza finanziaria.

Purtroppo – ci dice – siamo costretti ad uscire dal nostro Paese, perché c’è poco lavoro ma, soprattutto, non c’è futuro per i giovani e per chi, eventualmente, ha dei figli. Attualmente, siamo circa  17 milioni fuori dal paese per motivi di lavoro.

Quando sono partito io dal Libano, i giovani avevano ancora l’obbligo del servizio militare; ora, per fortuna no, è volontario, un particolare, questo, che non va sottovalutato, così come la geopolitica di quel tempo e quella attuale, perché evidenziano un quadro sociale e culturale non facile.

Chiediamo a Bil di tornare al disastro del 4 agosto e come lui riceve la notizia.

A quell’ora, come oggi, ero qui nel locale per prepararmi al lavoro  e mi arrivano alcune foto attraverso whatsapp sul telefono. Guardando le foto, non abbiamo capito subito la gravità della cosa; poi, col passare dei minuti, le immagini erano sempre più devastanti e i notiziari parlavano di una forte esplesione al porto. A quel punto, chiamo mio cugino, che è comandante presso una delle caserme dei Vigili del Fuoco. Mi dice che lui sta bene ma che la loro caserma è distrutta. Subito dopo iniziamo a chiamare i nostri parenti per sapere se stavano bene e capire cosa era realmente successo. Immediatamente, iniziamo a ricevere messaggi di solidarietà e affetto da gente di Parma e non solo, ma, soprattutto, dai nostri clienti e amici. Quale pensa sia la causa di quanto è successo?

Bil, dopo qualche secondo di silenzio, ci guarda con un sorriso amaro che fa capire tante cose e inizia la sua spiegazione dicendo che bisogna partire da qualche anno addietro.

Purtroppo, la colpa è della nostra gente, di un sistema politico che non esiste perché la corruzione è così alta che è impossibile fare ogni cosa. Sappiamo che la causa ad aver innescato l’espolosione è il nitrato di ammonio, un fertilizzante che si usa in agricoltura ma che, in mani sbagliate, può essere usato per fare del male. Facciamo un salto indietro, tra il 2013-2014. Al porto di Beirut arriva una nave proveniente dalla Turchia diretta in Mozambico, costratta ad attraccare per un  guasto. Per motivi di sicurezza, le autorità dispongono di scaricare il contenuto dalla nave. Si scopre, così, che trasportava 2700 tonnelate di Nitrato di ammonio, proveniente, in realtà, dalla Repubblica Ceca. Il carico viene stivato in silos e depositato al porto, dove resta per tutti questi anni.

Successivamente, Bil continua il suo racconto informandoci che, dal 2014 ad oggi, sono state rubate ben 2100 tonnellate di questo materiale, e che non si conosce chi l’abbia rubato, né l’uso che ne volesse fare. Sempre con un mezzo sorriso, ci fa capire che, sicuramente, il nitrato di ammonio non è stato rubato per utilizzarlo in agricoltura, ma per scopi ben diversi.

In merito all’esplosione, dalle prime immagini, foto e racconti di parenti e amici, abbiamo fatto molte ipotesi su cosa possa essere successo; una cosa è certa, la verità non la sapremo mai e, questa, è una cosa brutta, perché sono morte delle persone innocenti, una città praticamente distrutta e solo le stime dei danni sarebbero intorno ai 15/20 miliardi di dollari. Si è, anche, ipotizzato che qualcuno stesse lavorando a dei componenti per una bomba all’idrogeno. Forse, solo il futuro ci darà qualche risposta.

Chiediamo a Bil, in conclusione del nostro incontro, quale è stato il primo sentimento che lui e la sua famiglia hanno provato di fronte ad un disastro simile.  Nuovamente alcuni secondi di silenzio…  Se parliamo di un futuro, a mio avviso, non c’è, perché il popolo deve imparare tante cose ancora; lo si può fare iniziando dai bambini che vanno a scuola, partendo, quindi, da una nuova educazione, senza distinzione di religione, ceto sociale, culturale o di provenienza. Servono nuovi sviluppi sociali, una scuola nuova, moderna, servizi alla persona più veloci e senza una burocrazia che ferma qualunque cosa.

Gli chiediamo un’ultima cosa: secondo lei, quando si potranno vedere alcuni cambimenti nel suo Paese? La sua risposta è secca:

Quando tutti si impegneranno veramente per sconfiggere la corruzione che imperversa nel nostro paese. Forse, un primo cambiamento avverrà tra circa 25-30 anni, con la nuova generazione, a patto che non succedano altre guerre. Da noi c’è un detto-  aggiunge – “come è il capo, lo è anche il popolo”.

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